Con questo contributo di Nicoletta Mandolini (CECS – Universidade do Minho) la cartografia Femminismo Criminologico apre un nuovo terreno di mappatura dei progetti femministi e intersezionali su tematiche criminologiche: uno spazio di incontro e scambio teorico e metodologico e di contaminazione tra progetti di ricerca, educativi, editoriali, inchieste e percorsi artistici, letterari, poetici e visuali. Dalla violenza di genere alle lotte dei movimenti transnazionali; dai processi di criminalizzazione e vittimizzazione basati sull’identità di genere e l’orientamento sessuale alla produzione di discorsi eteronormativi, razzisti e abilisti; dai dispositivi di controllo normativo e sociale delle condotte alle pratiche sociali di resistenza, mutualismo e solidarietà delle comunità minorizzate – a tutti i temi che ancora non sappiamo ma che state già affrontando o progettate di affrontare: come vengono narrati, rappresentati, disegnati e performati, e con quali codici, linguaggi, prospettive? Vogliamo valorizzare le esperienze e le pratiche di ricerca femminista realizzate in qualsiasi parte del mondo, dare visibilità alle metodologie engagée e alle molteplici contaminazioni epistemologiche messe in campo; scambiare, condividere e imparare dalle vostre domande di ricerca, dai percorsi e dalle analisi dei vostri progetti.
Se state conducendo un progetto di questo tipo, inviateci una presentazione del vostro lavoro a: ssqc.online@gmail.com, descrivendo l’idea progettuale, le metodologie utilizzate, il vostro posizionamento, i primi risultati delle vostre ricerche e/o pratiche.
Ringraziamo Nicoletta per aver voluto condividere il suo interessantissimo progetto, buona lettura!

Copertina di Piena di niente (Beccogiallo 2015), di Alessia Di Giovanni e Darkam, graphic novel sulla negazione dei diritti riproduttivi in Italia.

“Smash!” The Patriarchy: fumetti contro la violenza di genere. Due parole sul progetto Sketch Her Story and Make It Popular

di Nicoletta Mandolini (CECS – Universidade do Minho)

Il contrasto alla violenza di genere è certamente l’ambito del discorso femminista che, in Italia come altrove, ha riscosso più popolarità ed ha alimentato un numero maggiore di dibattiti afferenti anche alle aree più marcatamente mainstream della comunicazione e della politica (si pensi al #MeToo o al “successo” del neologismo “femminicidio”). La rilevanza mediatica di un tema, come spesso accade, non lascia indifferenti gli orientamenti di ricerca, i quali, soprattutto a partire dal nuovo millennio, hanno generato numerose pubblicazioni sulla questione ampia e sfaccettata dell’abuso sessista avvicinando il tema secondo una prospettiva prevalentemente empirica e diretta, tesa cioè all’analisi (sociologica, statistica, medico-psicologica, giuridico-criminologica) del fenomeno in sé. Ma chi, come me, si è formato nel campo dei cosiddetti Studi Culturali sa che i processi socio-politici sono difficilmente comprensibili se si abdica alla necessità di analizzare le produzioni artistico-mediatiche su cui si costruisce quella che Stuart Hall chiamava “dimensione simbolica della vita sociale” (1992: 13). Ciò è tanto più vero nel caso della violenza/dominazione di genere che, lo sosteneva niente di meno che Pierre Bourdieu, non esisterebbe senza la legittimizzazione che il sistema simbolico-culturale, ormai da secoli abituato a riprodurre il mantra della divisione binaria e sempre gerarchica tra maschile e femminile, fornisce al nostro immaginario personale e collettivo (2014: 17-21). È partendo da questa prospettiva teorica che sorge l’imperativo di coltivare la pratica dello sguardo obliquo e indiretto sulla violenza di genere, un fenomeno che non può essere compreso (e tantomeno fronteggiato!), senza uno studio approfondito delle sue rappresentazioni.

In Italia non mancano studiose e studiosi che hanno fatto propria l’etica dello sguardo obliquo sforzandosi di studiare le modalità con cui la violenza di genere è presentata in ambito giornalistico (Giomi 2010; 2015; 2018; Gius e Lalli 2014; Abis e Orrù 2016; Mandolini 2020), televisivo (Binik 2015; Laviosa 2015; Giomi e Magaraggia 2017), ma anche letterario (Mandolini 2017; 2018; 2019; 2021; Pickering-Iazzi 2018; Ross 2018) e filmico (Manzoli 2018; Benini 2018). Eppure moltissimo lavoro resta ancora da fare, soprattutto in direzione di uno studio sistematico e transdisciplinare che sappia valutare il contributo che media, generi e piattaforme differenti per accessibilità, tipologia di pubblico e capacità di supportare processi identificativi nel ricevente apportano alla narrazione sull’abuso patriarcale, alla sua ricezione individuale e comunitaria, nonché alla sua rielaborazione in chiave socio-politica.

Io ho deciso di iniziare dal fumetto.

Nonostante l’ingrata etichetta di nona arte, il fumetto è un medium di fondamentale importanza all’interno del panorama culturale italiano che, grazie all’avvento recente del formato graphic novel, sta godendo di una rinascita in termini di popolarità e fortuna critica. I nomi di Zerocalcare, Gipi, Fumettibrutti e Zuzu sono solo alcuni degli esempi della notorietà che il fumetto ha raggiunto negli ultimi anni, una notorietà che non sorprende se si considera il potenziale, già ampiamente dibattuto tra gli studiosi di Comics Studies, della narrazione per parole e immagini. La dimensione multimodale data dalla cross-discorsività verbo-visuale è una delle principali caratteristiche del fumetto, la quale permette la redazione di narrazioni facilmente decodificabili e allo stesso tempo sfaccettate da un punto di vista simbolico e narratologico (Chute e DeKoven 2006; McCloud 1993: 138-161; Hirsch 2004: 1212-1215). Il fumetto è inoltre un medium intrinsecamente propenso alla contaminazione transmediale e intermediale, la quale favorisce il dialogo tra narrazioni ed incrementa in maniera considerevole il raggio di fruibilità del prodotto culturale, oltre che versatile (può essere supportato da varie piattaforme, sia cartacee che digitali) ed economico in fase di produzione (Rippl e Etter 2013; Di Paola 2019).  Infine, la forte propensione all’uso della riduzione iconica fa del fumetto un medium particolarmente adatto a favorire l’identificazione del lettore (McCloud 1993: 26-31) nonché la riproducibilità (anche in chiave mitopoietica e, quindi, politica) dell’immagine.   

Ognuna delle caratteristiche sopraelencate è essenziale per una rappresentazione della violenza di genere che possa dirsi riuscita e cioè capace di arrivare a un vasto pubblico e di essere (ri)utilizzata a fini politici pur non rinunciando a trasmettere un messaggio che scardini, in virtù della sua complessità, le semplificazioni e i binarismi che permeano la cultura patriarcale da cui la violenza trae linfa. A dimostrazione del potenziale delle narrazioni grafiche in questo campo vi è il vasto (e sempre crescente) numero di graphic novel e fumetti prodotti in Italia sul tema di cui, a seguito del lavoro condotto all’interno del progetto di ricerca Sketch Her Story and Make It Popular. Using Graphic Narratives in Italian and Lusophone Feminist Activism against Gender-Based Violence (FCT- CECS, Universidade do Minho), ho di recente proposto un’analisi e mappatura. I risultati della ricerca (ancora in fieri) sono consultabili nell’articolo “Let’s Go Graphic! Mapping Italian Graphic Novels on Gender-Based Violence” (Journal of Graphic Novels and Comics 12.5: 939-963, 2021) e sul sito internet del progetto: www.sketchthatstory.com.

Copertina di Lara (Canicola, 2019), di Ida Cordaro, graphic novel sui temi della violenza domestica/nelle relazioni intime.

L’utilità di questo studio, che si serve di un approccio medium-specific e di una più comune analisi tematica, consiste nella valutazione critica della capacità dei prodotti grafici di influenzare (positivamente o negativamente) l’immaginario sulla violenza di genere. Tale valutazione si offre come base sulla quale imbastire esperimenti e progetti di lettura da portare avanti nelle scuole, nelle carceri (con attori di violenza) o nei centri antiviolenza (con sopravvissut* all’abuso sessista). Non a caso sto attualmente lavorando ad un vademecum con informazioni utili e proposte di didattizzazione che possa servire da ausilio per chi fosse interessato a lavorare sul graphic novel come strumento di contrasto culturale alla violenza di genere nelle scuole.

Ma la comprensione del potenziale del fumetto nel campo della lotta simbolica all’abuso patriarcale non può esaurirsi con l’analisi, per alcuni versi tradizionale, in chiave critica e documentaristica. Le narrazioni grafiche sono infatti utilizzate anche come dispositivo espressivo e politico da parte di attivist* afferenti all’area del movimentismo e dell’associazionismo femminista. In Italia numerosi sono gli esempi di gruppi e collettivi che hanno scelto il fumetto e le sue innumerevoli declinazioni come medium di riferimento per dinamizzare le loro campagne contro la violenza (una mappatura è proposta nel sito del progetto). Tra questi spicca il lavoro di Lucha y Siesta, collettivo e casa d’accoglienza per donne sopravvissute alla violenza che ha usato il fumetto come arma contro la messa all’asta, da parte dell’amministrazione comunale romana allora guidata da Virginia Raggi, dell’immobile in cui conduce le sue attività. Grazie anche all’aiuto dell’artista Rita Petruccioli, Lucha y Siesta ha avviato una massiccia campagna di crowdfounding e sensibilizzazione sulla questione dell’abuso che è stata virtualmente supportata ad un esercito colorato e gioioso di supereroine – le “luchadoras” – disegnate da fumettisti, illustratori e street artist italiani. Le “luchadoras” hanno svolto una duplice funzione nella vittoriosa campagna di Lucha y Siesta (l’immobile è stato infatti comprato dalla Regione Lazio che lo ha affidato al collettivo): quella pratica di catalizzatore di partecipanti e simpatizzanti; quella simbolica di proporre un’immagine di donna che, sfruttando l’immaginario supereroistico, potesse destituire l’idea patriarcale di debolezza, passività e vittimizzazione.

Le “luchadoras” di Lucha y Siesta affisse sui muri di Roma.

Lo studio, condotto con una metodologia più marcatamente sociologica ed etnografica, delle modalità con cui il fumetto viene impiegato nell’area dell’artivismo femminista contro la violenza è uno degli altri punti cardine del mio progetto ed è cruciale al fine di valutare le potenzialità e l’efficacia delle strategie di inclusione delle narrazioni grafiche nell’agenda dei movimenti e delle organizzazioni antisessiste. È anche e soprattutto attraverso questo tipo di studi che è possibile stilare un elenco ragionato di buone pratiche che possa servire da stimolo per ulteriori creazioni, nuove intersezioni, fruttuose contaminazioni tra pratiche artistiche come quella fumettistica e pratiche di lotta contro la discriminazione di genere.

Per citare questo post: Mandolini, N. (2022), “Smash!” The Patriarchy: fumetti contro la violenza di genere. Due parole sul progetto Sketch Her Story and Make It Popular, pubblicato in Studi sulla Questione Criminale Online al link: https://studiquestionecriminale.wordpress.com/2022/02/16/smash-the-patriarchy-fumetti-contro-la-violenza-di-genere-due-parole-sul-progetto-sketch-her-story-and-make-it-popular-di-nicoletta-mandolini-cecs—universidade-do-minho/(si apre in una nuova scheda)