Roma, corteo di Non Una Di Meno. Foto di Daniele Napoletano da Dinamopress.it

di Ilaria Boiano (associazione Differenza Donna)

Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. … Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali… E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l’uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce.

Goliarda Sapienza, L’arte della Gioia, Einaudi, 2008,  p. 134

Un collaboratore scolastico è stato chiamato a rispondere del reato di violenza sessuale perché “all’interno dei locali scolastici, con mossa repentina ed imprevedibile, infilava le mani all’interno dei pantaloni e degli slip dell’alunna ——-palpeggiandole la vagina e il fondoschiena. Con l’aggravante del fatto commesso ai danni di minorenne. Con l’aggravante del fatto consumato all’interno di un Istituto Scolastico”.

La persona offesa, minorenne, ha dichiarato che mentre era sulle scale nell’istituto scolastico “sentiva da dietro delle mani entrarle nei pantaloni, sotto gli slip, che dapprima le toccavano i glutei e poi la afferravano per le mutandine e la tiravano su sollevandola di circa 2 centimetri; il tutto durava circa cinque/dieci secondi”.

Secondo il Tribunale la ragazza è da ritenersi pienamente attendibile poiché le sue dichiarazioni sono state “dettagliate, prive di contraddizioni, logiche, coerenti, nonché prive di alcun intento calunnioso nei confronti dell’imputato, con cui la ragazza aveva anche un rapporto cordiale e rispetto al quale non aveva alcun motivo di nutrire astio o rancore”.

L’uomo cercava di far desistere la giovane da iniziative ai suoi danni, “mi rovini” gridava, sbattendo la testa sul bancone del bar. Successivamente ai comportamenti dell’uomo, la ragazza ha avuto difficoltà a recarsi a scuola per paura di incontrare nuovamente il suo aggressore, tuttavia, con il sostegno dei suoi genitori, dei docenti e delle compagne di scuola, i fatti sono stati portati a conoscenza dell’autorità giudiziaria che ha sottoposto l’uomo alla misura cautelare della sospensione dall’esercizio di pubblico servizio.

Uno spostamento sociale si è prodotto, poiché lo scandalo sociale si sposta dalla vittima dell’aggressione sessuale alla condotta invasiva della libertà sessuale altrui, e viene incanalato nella direzione del supporto collettivo dell’accesso alla giustizia.

Nel corso del processo penale celebratosi dinanzi alla Sezione V del Tribunale di Roma è emersa la prova della condotta materiale dell’imputato, fondata principalmente sulla dichiarazione della ragazza, ritenuta attendibile: pure la consueta “caccia” giudiziaria al movente “umorale” (astio, ritorsione, vendetta…) delle false accuse che le donne/ragazze muovono nei confronti degli uomini che si trovano intorno non ha avuto esito positivo.

Ha prevalso però nella visione del Tribunale “la tesi difensiva dell’atto scherzoso, sicuramente inopportuno nel contesto in cui è stato realizzato per la natura del luogo e dei rapporti tra alunno e ausiliario”. Si dà conto nelle motivazioni della sentenza assolutoria della giurisprudenza di legittimità secondo la quale “in tema di violenza sessuale, il gesto compiuto “ioci causa” o con finalità di irrisione è qualificabile come atto sessuale punibile ai sensi dell’art 609 bis c.p. allorquando per le caratteristiche intrinseche dell’azione, rappresenta un’intrusione violenta nella sfera sessuale della vittima”, tuttavia non basta l’attendibilità della ragazza a fugare il dubbio “sulla volontarietà nella violazione della libertà sessuale della ragazza, considerato proprio la natura di sfioramento dei glutei, per un tempo sicuramente minimo, posto che l’intera azione si concentra in una manciata di secondi, senza alcun indugio nel toccamento. Inoltre, appare verosimile che lo sfioramento dei glutei sia stato causato da una manovra maldestra dell’imputato che, in ragione della dinamica dell’azione, posta in essere mentre i soggetti erano in movimento e in dislivello l’uno dall’altra, potrebbe avere accidentalmente e fortuitamente attivato un movimento ulteriore e non confacente all’intento iniziale”.

E così, il fatto non costituisce reato, perché v’è dubbio sull’elemento soggettivo, letto nei termini di volontarietà e consapevolezza dell’azione e come perseguimento, attraverso l’azione, di una concupiscenza sessuale.

L’imputato scherzava, non voleva attentare alla libertà sessuale, bene giuridico di cui, secondo il Tribunale di Roma, l’eventuale violazione si misura alla luce del desiderio sessuale dell’accusato, ignorando il soggetto la cui libertà sessuale è violata.

Non può non risuonare il monito di Carol Smart a negare al discorso giuridico ogni potere di “dire la verità” sulle donne e per le donne (Smart, 1989): dinanzi a un ordinamento nel quale se una donna dice “sono stata stuprata”, il diritto le risponde “tu hai acconsentito” (nel nostro caso “lui scherzava!”), Smart invitava a prendere atto del fatto che il diritto è costruito secondo uno schema sessista, maschile, sessuato (C. Smart, 1992).

Il diritto e le sue pratiche  non sono ancora in grado di porsi “the woman’s question”, poiché ignorano le implicazioni di genere delle regole e delle procedure presentate come neutre o oggettive (Barlett, 1990), e ciò non stupisce, alla luce delle molteplici condanne pronunciate dalla Corte di Strasburgo nei confronti dell’Italia per il sessismo giuridico e giudiziario imperante, ribadito nella decisione F. c. Italia del Comitato CEDAW di appena un anno fa.

Qui però si pone innanzitutto un problema di uguaglianza delle donne dinanzi alla legge, già rilevato dal Comitato CEDAW, e di tenuta complessiva dei principi dello Stato di diritto: il libero convincimento è un presidio dell’indipendenza della magistratura, ma se esercitato nel rigoroso solco tracciato dalla legge (art. 101 Cost.), altrimenti è arbitrio e violenza istituzionale che “l’arcipelago normativo” degli ultimi venti anni non ha scalfito: se è vero che oggi le donne prendono parola pubblica, anche tentando di accedere alla giustizia, non di rado si ritrovano messe “faccia al muro”, sia simbolicamente sia materialmente, ricordando una misura di “protezione” suggerita qualche tempo fa da una giudice, sempre del Tribunale di Roma, a una donna vittima di gravi maltrattamenti e chiamata a testimoniare in aula.

Oltre la vittimizzazione secondaria, che si iscrive in una cornice di violazione di norme di rango primario, non si può ignorare anche la violenza epistemologica: la realtà dei fatti, sebbene accertata direttamente a partire “da parola di donna” che è giunta, dopo secoli, ad avere valore di prova, viene piegata e distorta alla luce di una prospettiva sessista di applicazione del diritto penale e di visione del mondo e delle relazioni sociali. Il delitto di violenza sessuale, anche nella sua forma di minore gravità che punisce i palpeggiamenti, rimane costruito dall’autorità giudiziaria disconoscendo il significato che vi conferisce la persona che si vede violata la sua sovranità sul proprio corpo, privilegiando una tesi difensiva che risulta palesemente disancorata da ogni evidenza probatoria, e fondata sulla convinzione per la quale il soggetto maschile e la sua percezione dei fatti, delle relazioni e del mondo siano parametri universali.

Ebbene, in questo contesto la sentenza del Tribunale di Roma ci offre l’occasione per sovvertire un pregiudizio sessista che ha perseguitato per secoli, fino alla contemporaneità, le donne, sempre attaccate nella loro credibilità: bisogna prendere atto del fatto che “le parole del diritto mentono”, non le donne che cercano giustizia.

Per citare questo post:

Boiano, I. (2023), Le parole del diritto mentono. Note a margine dell’assoluzione di un collaboratore scolastico perché la palpata era «breve» e scherzosa, in Studi sulla questione criminale al link: https://studiquestionecriminale.wordpress.com/2023/07/14/le-parole-del-diritto-mentono-note-a-margine-dellassoluzione-di-un-collaboratore-scolastico-perche-la-palpata-era-breve-e-scherzosa/