Pubblichiamo il post di Gaia Giuliani (CES – Università di Coimbra), per la blog serie #CallMeCOVID19 di Studi sulla questione criminale online. Nelle pagine del nostro blog potete trovare tutte le riflessioni arrivate in risposta alla nostra Call e che abbiamo pubblicato fino ad ora, mandate il vostro contributo a ssqc.online@gmail.com.

Ringraziamo Gaia per il post. Buona lettura!

Cronache del COVID19, o per una critica postcoloniale e antiautoritaria dell’Antropocene

di Gaia Giuliani*

Traduzione a cura di Xenia Chiaramonte, Giulia Fabini, Caterina Peroni, Simone Santorso (Redazione blog Studi sulla questione criminale)

Bologna deserta – Via Indipendenza, marzo 2020. Credits: Francesco Maffeo

Cronaca n. 1:

Sono in fila davanti al supermercato. Il decreto che il governo ha approvato ieri sera (11/03/2020) ci impone di stare a tre metri di distanza gli uni dalle altre. Si può entrare due a due. Tutto intorno non c’è nessuno se non la polizia. I bambini non possono stare in fila con i loro parenti né entrare insieme a loro a fare la spesa. Ci è permesso di raggiungere unicamente il supermercato più vicino. Una volta dentro, il proprietario del negozio mi mostra le croci gialle dove mi devo fermare per mantenere la distanza di sicurezza da chi si trova davanti a me o alle mie spalle. Non possiamo andare da nessun’altra parte. Al momento, solo alcune farmacie e supermercati sono ancora aperti. Il decreto ha imposto a tutti gli altri di chiudere. Abbiamo bisogno di un certificato per uscire da casa, altrimenti possiamo venire arrestati e denunciati con ammenda (messaggio di testo da una amica di Fano).

Cronaca n. 2:

Ci siamo barricati nelle nostre case, segregati  dalla vita di tutti gli altri. Cerchiamo di vivere una vita normale, organizzando cene e incontri online. Passiamo il tempo al telefono, a leggere libri e ascoltare le notizie. In pratica ci troviamo in una situazione Orwelliana, disciplinati nella nostra vita e aggiornati dalle istituzioni, i telegiornali e i social media. Alcuni di noi possono lavorare da casa, fortunatamente. C’è cibo fresco e in scatola in abbondanza, e ci godiamo tutti gli strumenti di una vita quotidiana molto confortevole. Come ai tempi della Guerra Fredda o come nei film sulle invasioni aliene, stiamo nei nostri rifugi, nelle nostre torri d’avorio private, mentre fuori la minaccia del contagio sta cacciando e colpendo anche a dispetto di ogni precauzione. Là fuori ci sono i mostri: noi siamo nella zona rossa. E tuttavia ci mancano le cose basilari. Come il disinfettante per le mani, le mascherine e informazioni certe. Nel frattempo, la convivenza forzata ci rende molto aggressivi e ansiosi, come se la paura del contagio tirasse fuori la parte peggiore di noi (Messaggio privato su Facebook da un’amica da Bologna).

Cronaca n. 3:

Sono solo con il mio cane da quando per me è iniziata la quarantena. Mia figlia studia in Olanda, dove il virus è appena arrivato. Ho paura, mi sento solo e se non fosse stato per il cane non avrei saputo come far fronte a questa situazione (Messaggio di testo da un’amica da Fano).

Cronaca n. 4:

Viviamo tutti insieme, la mia famiglia e la sua. Siamo in otto in tre stanze. È divertente a volte. Abbiamo pensato che sarebbe stato meglio affrontarlo insieme, non importa cosa. Almeno possiamo usare i soldi di famiglia, non avendo un reddito al momento. Ma è come stare in una prigione sovraffollata (messaggio da un amico a Venezia).

Cronaca n. 5:

Non possiamo viaggiare. La nostra mobilità è limitata dalla legge e dalla polizia. Se ci trovano in giro ci possono arrestare. COVID-19 trasformerà l’Italia e poi tutta l’Europa in una manciata di feudi da cui nessuno può scappare. Brexit insegna: il desiderio di isolamento appartiene alla fantasia coloniale dell’ultimo posto sicuro e civilizzato sulla terra. Chissenefrega di tutto quel che c’è là fuori. Chi sta male starà peggio. Guarda l’Iran: muoiono come mosche e nessuno dice chiaramente che è ora di rimuovere l’embargo statunitense e dar loro una mano. Nel frattempo, la nostra mobilità è equiparata alla minaccia più grave, visto che non hanno gli strumenti per verificare le nostre condizioni. Matteo Salvini ha dichiarato che l’Europa dovrebbe chiudere i confini per proteggersi da una minaccia esterna, come ha fatto il Regno Unito. Fondamentalmente lui sta dicendo che farà del suo meglio per lasciarci morire tutti per auto-contagio. Noi siamo la peste. Prima o poi qualcuno ci bombarderà (email da un amico a Milano).

Cronaca n. 6:

Salveranno, come dicono, prima i giovani e tra essi quelli sani. Io ho il cancro. Ad ogni starnuto mi viene il terrore. La mia scorta di chemioterapici è in calo. Non riesco a trovarli nelle farmacie. D’altra parte, forse è meglio sospendere la terapia, per rafforzare il sistema immunitario (Sms da un’amica da Milano).

Cronaca n. 7:

Io sono sieropositiva e come dire non passo inosservata. Se mi contagio e vado all’ospedale, quante persone dovrò aspettare perché tocchi a me essere curata? (Sms da un amico queer)

Cronaca n. 8:

Nel Sud, dove l’emorragia di giovani dura da secoli. Le città e i villaggi sono sempre deserti, in tutte le stagioni tranne che in estate. Ma oggi, ai tempi della pandemia, i bar e i negozi sono tutti chiusi, e gli anziani sono lasciati abbandonati a se stessi. La loro vita e le loro relazioni per come sono strutturate sono impossibili ora: nessun bicchiere di vino, nessuna partita a carte, nessuna compagnia o supporto reciproco. Sono lasciati nel silenzio, con la loro vulnerabilità e la loro morte (email da un amico a Lauria, Basilicata).

Cronaca n. 9:

E che dire della migrante senza documenti che lavora nei campi del Sud, che vive nelle baraccopoli, con difficile accesso agli ospedali e alle cure sanitarie, segregato spazialmente e dominato dai proprietari di terreni e aziende? E la prostituta senza documenti che lavora in molte strade nascoste del Nord e del Sud ed è esposta a virus di ogni tipo e che dal primo di marzo non mangia più? Della senza tetto che non sa a chi chiedere l’elemosina perché in giro non c’è nessuno? E l’ambulante? Come campa quella? Qual è il loro posto nella gerarchia delle priorità? (Messaggio privato di Facebook).

 

***

Katrina, New Orleans, 2005

Nello scenario apocalittico del COVID-19, le narrazioni della catastrofe ri-centrano l’Europa e l’Occidente come i bastioni della civiltà, dell’Ordine socio-politico e della speranza tecno-scientifica. Gli unici che val la pena da salvare. Le paure riguardano se “Noi” sopravviveremo o meno, come gli unici che possono garantire agli altri una vita civile nel “Dopo”. Di fronte a queste paure, tutti sono pronti a incolpare il mostro. All’inizio il panico morale contro gli untori è scoppiato in Italia contro i cinesi e poi in ogni altro paese contro gli italiani. Adesso chiunque può essere “l’untore” mentre ai medici viene detto di non intubare i vecchi di oltre ottant’anni. Agatha direbbe… e allora chi è l’assassino? Mentre noi invece ci dovremmo chiedere… chi è il mandante? La soluzione che viene accarezzata è una Droned democracy (un termine che invento io qui adesso, tanto per capirci ma che altri hanno già chiamato Stato di sorveglianza, ad esempio) sul modello cinese. Come poi utilizzeremo questi giocattoli e lo stoccaggio dei big data dopo l’emergenza lo lascio dire agli specialisti. D’altra parte, c’è chi ancora incolpa i barconi, quelli che vengono dalla miseria, i senzatetto, quelli che un tal Brunetta chiamò i lazzaroni o qualcosa del genere, e magari sono solo quelli che vanno a lavorare nelle fabbriche di produzione non essenziale – gli esposti alla morte, che a loro volta espongono alla morte – che Confindustria non chiude.

Contro tutti questi ‘irresponsabili’ che ancora escono di casa, all’interno e all’esterno della zona rossa molti ancora credono si essere intoccabili: basta fare i bravi e non succede niente. Basta continuare ad obbedire. In effetti, la catastrofe è “per” gli Altri, quelli che abitano i luoghi in cui i disastri sono sistemici. Insomma, quei luoghi miserbili di cui non sappiamo niente e non vogliamo sapere niente perché li abbiamo resi la spazzatura dell’Antropocene. Secondo questo immaginario, la “rivolta” della “Natura” e dei suoi virus contro la tecno-scienza verrà infine repressa da quest’ultima, come se noi e l’ambiente non fossimo un sistema integrato e come se non avessimo noi contribuito alle condizioni del ‘salto’ animale-uomo del virus proprio con la nostra tecno-scienza. Il “Noi” non teme ancora per il suo futuro, e la necessità di sacrificare e piangere i più esposti e vulnerabili è ciclicamente minimizzata dai vari capi di governo europei mediante la normalizzazione della crisi: “qualcuno deve essere sacrificato”, “certi altri non contano nemmeno nell’elenco delle perdite”.

In ogni caso, se la pandemia si trasformerà in una catastrofe per il “Noi”, la tecno-scienza salverà la parte migliore dell’umanità. Ossia, sempre il “Noi”.

Lo farà, insieme a schemi che funzionano secondo gerarchie e priorità ben stabilite, fisserà i confini e le frontiere definendo semioticamente cosa sta per “umanità”. Per questi stessi parametri, l’Altro Fuori è l’ultimo di cui preoccuparsi, benché la linea che definisce chi è Fuori sia molto mobile (se la pandemia continuerà a questi ritmi,”l’età scenderà”, dice un’infermiera intervistata, e alcune delle aree privilegiate per l’intervento sanitario saranno presto o tardi lasciate fuori). I prossimi a essere sacrificati saranno i mostri interni, cioè i poveri stigmatizzati, i privi di documenti e razzializzati, i sieropositivi, il criminale ordinario per il quale viene dichiarata apertamente la tanato-politica di Foucault. Il malthusianesimo distopico dunque si combinerà ad un rinnovato darwinismo sociale al fine della selezione di quelli ‘sani’, gli indispensabili, dalla massa dei vulnerabili e dispensabili – i più anziani, gli invalidi e i diversamente abili. Questo non è distopia, questo è Boris Johnson, primo ministro della Gran Bretagna, che ha rifiutato di prendere qualsiasi misura per ridurre il contagio, e tuttavia affermava che “molte famiglie perderanno i loro cari”. Il suo Ministro della Sanità si permetteva di dire che sarebbe stato meglio che gli ultrasettantenni restassero in casa (e morissero in silenzio). Ora questi due grandi statisti, dopo aver parlato di ‘immunità di gregge’, vedono i contagi arrivare alle stelle e reclutano mezzo milione di medici, infermieri e paramedici. Nel frattempo, la metro di Londra, ovviamente la città con più contagiati (è la più grande e densamente popolata e per il costo della vita condanna tuttx i non ricchi a convivenze estreme), è sempre stracolma: come credono che le persone possano mantenere una casa se non vanno a lavorare? Chi sono quellx sulla metro, gli untori o coloro che vengono sacrificati perché la macchina non si fermi? La distopia è già qui, pare.

Questa gerarchia potrebbe cambiare, ma è molto probabile che sarà sempre in sintonia con le idee sedimentate che il “Noi” ha di chi è “il più degno di essere salvato”. Per tutti i Salvati, una sorta di bio-potere autoritario basato sulla polizia, la segregazione e l’isolamento garantirà l’Ordine e la Sicurezza. Nel punto in cui siamo arrivati, tutti questi passaggi sono già avvenuti. E intanto, nessuno urla pieno dello sdegno che dovremmo avere di fronte al personale medico in prima linea, lasciato senza respiratori e senza tamponi, e costretto a scegliere di salvare il giovane “tra lui e un vecchio” perché LUI farà ripartire il paese (sì, coi soldi dei babyboomers che stiamo lasciando morire).

Se dovessimo pensare che tutti questi elementi stiano preparando un prossimo futuro ancor più distopico, come in una memoria capovolta del futuro in cui ciò che abbiamo previsto per un “poi” abbastanza improbabile, non è poi in realtà così lontano da venire, potremmo aspettarci che forse qualcuno verrà presto eliminato attraverso una guerra di tutti contro tutti, per evitare che infettino altri – o per evitare che sovvertano le idee di Ordine, Disciplina e Controllo che sono rivendicate ora a pieni polmoni; altri verranno spazialmente separati e lasciati soli o lasciati fuori dal confine murato della cittadella (eh come se già fossero in pochi là fuori). Alcuni saranno rinchiusi in un laboratorio per essere sezionati e studiati per trovare un vaccino (magari quelli che non contano niente e di cui apparentemente non se ne frega nessuno – lo abbiamo già fatto con gli esperimenti medici dal XVIII secolo in poi, usando cavie che erano poverix, detenutx o schiavx). Altri saranno curati per diventare un monito contro il Caos e la Morte, e per rendere intoccabile l’istituzione pubblica – la grande madre che vede e provvede e che ci fa cantare l’inno nazionale perché come a scuola negli anni del fascismo nessuno disobbedisca o pensi in modo critico. Il miglior campione della specie (il cui corpo ha caratteristiche precise in termini di razza, genere, classe, sessualità, nazionalità e religione) sarà custodito in spazi segregati o addirittura sviluppato da embrioni e cresciuto in ambienti altamente robotizzati ed isolati. La parte migliore dell’umanità fiorirà senza dover pensare a nulla: tutto ciò che deve fare è riprodurre il sistema senza metterlo in discussione. Sarà una nuova umanità di soldatini, un po’ fascisti sicuramente, che si mettono a menare chi trasgredisce o applaudono l’esercito e la polizia purché diano balsamo alle loro paure, e perché, come diceva il Duce “obbedire, credere e combattere” non tramonta mai.

In realtà, non c’è nulla di nuovo in questa immagine. Tutto è già accaduto nell’Antropocene, anche se la catastrofe viene legittimata attraverso la mostruosità di coloro che sono stati sacrificati, a volte è anche definita come “possibilità di rinnovamento” per gli Illuminati. Forse ora è il momento di pensare al fatto che se l’umanità sopravviverà, dato che un futuro senza umani non è davvero pensabile, molti di quegli umani rimarranno indietro e non per caso. Nuovi confini semiotici definiranno chi è degno e chi non lo è, in base alle ‘figure della razza’ – ossia quelle idee preconcette e iconografie ricorrenti che dalla modernità hanno sostenuto i privilegi di alcuni e legittimato la vulnerabilità e la morte di molti. Allo stesso modo, la vita non umana sarà sacrificata o salvata in base alla sua utilità per la sopravvivenza del “Noi”. Se l’Antropocene sopravviverà, è molto probabile che il “Noi” che lo produce ripeterà tutto allo stesso modo.

E così di ciò che sta avvenendo fuori dall’Occidente, nessuno se ne preoccupa.

Un po’ di umani in meno (specialmente quelli che non contano niente – quelli brutti, un po’ zozzoni, scuretti, fanatici e rozzi – non farà poi tanto male, anzi)

Lo diceva Malthus, e lo ritroviamo in molti film distopici: i poveri e i miserabili si riproducono in fretta, ammazzarne un po’ non è gran cosa.

Soderbergh, Steven. Contagion. USA, 2011.

Cura, cura di sé, cura della Terra. Molte persone in Italia stanno facendo del loro meglio per ripristinare ciò che il neoliberismo ha distrutto, ossia l’idea che la cura sia una questione collettiva. Il sistema sanitario nazionale sta crollando dopo decenni di tagli e riduzioni del personale. Le persone rinchiuse nelle loro case cercano di stare vicine le une alle altre, si prendono cura di sé e l’una dell’altra in un’emergenza che dimostra fino a che punto la cura di sé e la cura degli altrx siano interdipendenti. Creano beni comuni: cantano da un balcone all’altro, condividono il supporto emotivo, forniscono servizi di babysitteraggio gratuito, usano chat dal vivo, corsi online e podcast su tutte le piattaforme per condividere abilità, conoscenze, interessi, film, ore di meditazione, yoga, ricette e persino porno, si regalano denaro (qui a Lisbona fanno la staffetta per dare un po’ di denaro ai mendicanti senza più reddito e ai tossici lasciati totalmente da soli e i dannati b&b si aprono a qui deve stare in quarantena e non può farlo in una casa già densamente abitata o perché non ha casa). Le persone accettano di non uscire non solo per evitare il virus, ma anche perché sanno che i pronto-soccorsi sono già sovraffollati. Alcuni coltivano il proprio cibo, altri vanno in campagna per avere le uova e carne propri, tutti pensano che non ci sia spazio per i rifiuti: ogni tipologia di bene, in particolare cibo e medicine, è estremamente preziosa e lo sarà ancora di più nel prossimo futuro. Non c’è inquinamento nell’aria, non ci sono auto per le strade, ci molti meno rifiuti industriali (nonostante le fabbriche continuino a lavorare) – e non moriremo di fame! neanche quando tutte la produzione non essenziale si fermerà! Prima che il cannibalismo diventi un’opzione ne passerà di tempo. Non siamo nel post-nucleare, non siamo a Chernobyl dove tutto è contaminato. Non siamo nel film postapocalittico The Road, dove o trovi del cibo in scatola o mangi altri umani. Non siamo nel film Il buco (El Hoyo, 2019) dove regna l’odio di classe e il malhusianesimo verticale. La percezione dell’importanza che riveste la cura della Terra è una conseguenza di un tempo catastrofico in cui si fa strada l’indicibile fantasia che l’estrazione del valore ‘possa essere sospesa’. La pandemia mostra come la vita umana dipenda dalla sua prossimità trans-corporea e dalle connessioni con tutto il resto: siamo trans-corporei perché, come dice Stacey Alaimo, il nostro corpo è immerso – a tutti i livelli, a quello microbiologico, a quello fisico inorganico e a quello sociale – in un ‘tutto’ che se diciamo ormoni ci risponde con il cancro, e se diciamo iperproduzione di carne ci risponde SARS. Tutto ciò che le persone toccano potrebbe farle sopravvivere o morire in pochi giorni. Anche la loro relazione intra-attiva con il resto – la vita non-umana e l’inorganico –, per riprendere la riflessione della fisica Karen Barad, è molto chiara: la loro vita e soggettività è il prodotto di ciò che li preesiste, che sia il bios, lo zoe o l’inorganico che trasferiscono e trasmettono il virus.

Come sopravvivere in un momento catastrofico è probabilmente qualcosa che il benedetto “Noi” dovrebbe apprendere da questi momenti condivisi di esperienza del rischio e considerare come strutturale, perché la minaccia non scomparirà. Forse il “Noi” dovrebbe imparare da cosmogonie e pluriversi alternativi basati su diverse relazioni non estrattive e di sfruttamento tra Vita (umana e non) e Non-vita (l’inorganico), le stesse concezioni alternative contro cui l’Antropocene ha combattuto per secoli per far diventare il colonialismo, la schiavitù, il capitalismo e il patriarcato gli standard dominanti; così facendo demistificare l’impulso di crescita e sviluppo, e infine rallentare la corsa antropocenica verso la distruzione. Questa stessa corsa, incarnata dagli enormi mercati della carne in cui il virus SARS si è geneticamente trasformato tre mesi fa, sarà sostituita da diversi modi di produzione e distribuzione dei beni, e infine dall’organizzazione sociale. Per questo tipo di organizzazione della società su scala planetaria, i dispositivi bio e necro politici propri dell’Antropocene – i loro confini, muri, colonie e arcipelaghi carcerali – non significheranno nulla. Tutto ciò lascerebbe spazio a un’indagine approfondita sul ruolo svolto da genere, razza e classe come mezzi di assoggettamento e alla opportunità di disarmarli. Esempi di tali organizzazione sociale alternativa potranno trarre ispirazione da quelli del passato e da quelli che nel nostro presente sono modelli non-egemonici. Devono trarre ispirazione i dalle storie di scarsità ed emergenza che hanno costruito altre forme di coabitazione, comunicazione logica e biologica e condivisione (partage come dice Rada Ivekovič) attraverso una relazione di pelle (o skin-to-skin come dice Sara Ahmed) tra gli esseri, e tra gli esseri e la Terra. Magari tutto ciò contribuirà a decostruire il ‘Noi’ Europeo e Occidentale – fatto a misura del normodotato, proprietario, non idebitato, generalmente maschio eterosessuale e bianco – e le sue logiche antropoceniche fondate su ontologie violente di morte e sfruttamento. Magari questo Noi salta per aria.

Ma questo è un altro film.

 

ps. Le cronache che ho raccolto sono molte di più. La riflessione che ne ho tratto è molto più lunga. Entrambe sono state rielaborate nella conclusione al libro che sto scrivendo e che si intitola Monsters, Catastrophes and the Anthropocene. A Postcolonial Critique, in uscita 2020 per Routledge.

È un onore per me partecipare alla call sul COVID19 lanciata dal blog “Studi sulla questione criminale”. Ed un piacere immenso condividerle con voi tuttx.

In alto i nostri cuori, e in cielo il nostro canto antiautoritario.

*

Gaia Giuliani è una filosofa politica, ricercatrice permanente al Centro di Studi Sociali (CES) dell’Università di Coimbra. È autrice, tra gli altri volumi, di Bianco e nero. Storia dell’identità razziale degli italiani with dr. Cristina Lombardi-Diop (Le Monnier/Mondadori Education, 2013) – Primo premio al concorso dell’American Association for Italian Studies nella categoria “20th-21st century” 2014; Zombi, alieni e mutanti. Le paure dall’11 settembre a oggi (Le Monnier-Mondadori Education, 2016), e Race, Nation, and Gender in Modern Italy: Intersectional Representations in Visual Culture (Palgrave Mcmillan, 2019) – Finalista all’Edinburgh Gadda Prize 2019.

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Riferimenti bibliografici sparsi:

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Copus, Nick. Ice 2020. USA, 2011.

Darabont, Frank. The Walking Dead. USA, 2010‒(ten seasons)

Mitchell, Dominic and Jonny Campbell. In the flesh. UK, 2013‒15 (two seasons).

 

Per citare questo post:

Giuliani, G. (2020) Cronache del COVID19, o per una critica postcoloniale e antiautoritaria dell’Antropocene. In Blog Studi Sulla Questione Criminale [online]. Disponibile al seguente link: https://studiquestionecriminale.wordpress.com/2020/03/26/cronache-del-covid19-o-per-una-critica-postcoloniale-e-antiautoritaria-dellantropocene/