Pubblichiamo la recensione di Alessandro Senaldi (Università degli studi di Genova) al libro “Costruire evasioni. Sguardi e sapere contro il diritto penale del nemico” di Prison Break Project, da poco uscito per Edizioni BePress.

Ringraziamo Alessandro Senaldi per il post. Buona lettura!

 

Prison Break Project, “Costruire evasioni. Sguardi e sapere contro il diritto penale del nemico” (Edizioni BePress, 2017), pp. 277

di Alessandro Senaldi

Non sono le rigide fila accademiche il principale pubblico del libro “Costruire evasioni. Sguardi e saperi contro il diritto penale del nemico”, testo edito nel 2017 dalle Edizioni BePress. Potremmo piuttosto definire questo lavoro un lungo pamphlet rivolto alla generalità dei movimenti sociali italiani.

Il lavoro è infatti diviso in tre parti: le prime due dedicate a una disamina dei mezzi giuridici di contrasto alla conflittualità sociale, la terza focalizzata sull’intento di elaborare critiche, strategie e linee di indirizzo politico utili a chi pone in essere quella stessa conflittualità. Ciò appare evidente dal titolo dell’ultima sezione, “Resistere, organizzarsi e rilanciare”, diretta a sviluppare sul punto una dialettica tutta interna alle organizzazioni di movimento.

Appare necessario quindi indossare una serie di lenti per comprendere cosa può offrire alla questione criminale tale testo. Anche se, data la «clamorosa omissione» (Ruggiero, 2006, p. VI) dei criminologi nei confronti dello studio dei movimenti sociali, un elemento emerge preminente: colmare tale omissione.

La prima lente da indossare riguarda la comprensione circa l’approccio usato dal progetto collettivo “Prison Break Project”. Questo è «prevalentemente politico» (p. 18), lo sguardo è puntato «sull’andamento dei movimenti e sui soggetti del conflitto sociale» (pp. 18-19) nonché sulla relazione tra questi e gli apparati di controllo. In sostanza, la tematica giuridica (e quindi il relativo interesse criminologico) non è al centro del discorso, ma affianca il criterio politico di analisi.

Orbene, questo approccio apre degli spazi di ragionamento interessanti, in quanto – al di là di valutazioni sul terreno del “politico” – rappresenta un tentativo di decostruire e analizzare dinamiche e strategie di controllo in atto nei confronti dei movimenti sociali da “Genova 2001” ad oggi [1]. Tentativo che, peraltro, considerando con Alessandro De Giorgi le «lotte sociali» quale «elemento genealogico» della criminologia critica (De Giorgi, 2013, p. 31) – risulta ancor più interessante perché portato a termine da “informatori privilegiati”: attivisti/e che vivono l’interazione con le diverse agenzie di controllo. La seconda lente da indossare punta ad eliminare la foga con cui i più reagiscono all’uso politico e descrittivo-simbolico della categoria teorico-giuridica del diritto penale del nemico [2]. Infatti, al netto di considerazioni meramente giuridiche, conviene piuttosto domandarsi come mai, sul terreno dello scontro prodotto dall’azione dei movimenti, questi ultimi facciano sempre più spesso ricorso a tale costrutto in termini interpretative [3]. Infatti, da un lato, l’utilizzo del concetto di diritto penale del nemico è consequenziale a certe letture di filosofia politica [4] proprie di alcune organizzazioni in seno ai movimenti sociali; dall’altro, questo è dotato di una forte carica semantica e simbolica, in grado di dare ragione del vissuto di quei corpi in quotidiana lotta con gli apparati di controllo. Esigenza quest’ultima che crea un problema teorico che potrebbe essere utile ridimensionare, se è vero che – usando un adagio di barattiana memoria – il diritto (soprattutto penale) ha sempre avuto nella storia un carattere eminentemente politico e classista [5].

Svolta questa operazione “ottica”, è possibile lanciarsi nella lettura. Andando alla ricerca – soprattutto nelle prime due parti del testo – di spunti in grado di stuzzicare la curiosità per successive ricerche sul tema. Particolarmente interessanti, ad avviso di chi scrive sono: l’excursus storico dal “decennio rosso” ad oggi del rapporto tra controllo e movimenti sociali; la decostruzione del frame terrorismo, soprattutto nel passaggio in cui si evidenzia il «ribaltamento semantico» del concetto operato attraverso la normazione internazionale e italiana; l’analisi dell’uso degli istituti della devastazione e saccheggio, delle misure di prevenzione e dei reati associativi. Soprattutto in riferimento al secondo degli elementi richiamati, ovvero il ribaltamento semantico del concetto di terrorismo, il lavoro coglie una sfumatura interessante, evidenziando come

«a dispetto dell’origine del termine, ancora oggi pietrificata nella stessa radice della parola, secondo le fonti giuridiche internazionali e nazionali il concetto di terrorismo ha poco a che vedere con l’imposizione del terrore sulla popolazione. Nella sua versione giuridica il terrorismo sembra piuttosto riguardare il terrore che gli stati hanno delle popolazioni» (p. 107).

Ancora più interessanti sono, a parere di chi scrive, quegli spunti che articolano ragionamenti nuovi anche per gli stessi movimenti. Mi riferisco alla pagine che, da un lato, trattano la «soggettivazione politica della magistratura» (p. 189) e, dall’altro, individuano la «repressione economica» (p. 162 e ss.) come un nuovo strumento di controllo.

Per quel che riguarda il primo dei due elementi richiamati, l’interesse non è da ritrovarsi nella visione della magistratura come diretta «artefice di repressione penale» (p. 189), ma nel ruolo giocato dalla cultura «panleglista» (p. 191) dell’opinione pubblica e nel nuovo status di “arbitro della democrazia” riconosciuto alla magistratura , le cui decisioni quindi appaiono neutrali sebbene, come del resto emerge dagli esempi riportati, un agire di un certo segno politico sia evidente. Per quanto riguarda il secondo elemento, vale invece la pena sottolineare come gli autori riconoscano nella repressione di tipo economico un esperimento in atto nella prassi giudiziaria; un dispositivo il cui funzionamento è la perfetta

«trasposizione sul piano giuridico-repressivo di quello stesso meccanismo credito-debito che va imponendosi come forma privilegiata di assoggettamento»

ovvero il cuore della fase di finanziarizzazione del capitale (p. 170).

In definitiva il libro proposto, pur considerando alcuni limiti nell’approfondimento teorico, rappresenta una buona lettura di partenza per chi intenda approfondire la relazioni tra controllo sociale e movimenti, la tematica del delitto politico e quella del comportamento collettivo deviante.

 

Note

  1. Analisi peraltro già da aggiornare, viste le azioni in tal senso poste in essere dal nuovo Ministro dell’Interno Minniti.
  2. Il diritto penale del nemico è una concettualizzazione teorica, presentata per la prima volta nel 1985 dal penalista tedesco Günther Jakobs. Con tale concetto di fa riferimento all’esistenza di un binario parallelo del diritto penale, il quale si rivolge ad un differente soggetto – non al cittadino ordinario ma al nemico di una determinata società. Quest’ultimo, ponendosi all’infuori delle normali regole del patto sociale, non merita le garanzie proprie del diritto penale, ma piuttosto un trattamento tipico del “nemico” in tempo di guerra (Jakobs, 2007).
  3. Si prendano ad esempio gli ultimi lavori di Pepino (2012) e di Pepino e Revelli (2012)
  4. Si vendano ad esempio Agamben (1995) o Schmitt (1994).
  5. Questione che per giunta è individuata dagli stessi autori del testo recensito, i quali evidenziano espressamente come l’attuale fase repressiva sia «il frutto coerente dell’evoluzione del sistema punitivo, il quale viene modellato sulle diverse fasi del capitalismo» (p. 185).

 

Bibliografia

  • AGAMBEN Giorgio (1995), Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino.
  • DE GIORGI Alessandro (2013), Riformismo o rivoluzione? Note sulle criminologie liberal e radical negli Stati Uniti, in “Studi sulla questione criminale”, n.3, Carocci Editore.
  • JAKOBS Gunther (2007), Diritto penale del nemico, in Donini Massimo e Papa Michele (a cura di), “Diritto penale del nemico. Un dibattimento internazionale”, Giuffré, Milano.
  • PEPINO Livio (2012), Forti con i deboli, BUR, Milano.
  • PEPINO Livio e REVELLI Marco (2012), Non solo un treno… La democrazia alla prova della Val Susa, EGA-Edizioni Gruppo Abele, Torino.
  • RUGGIERO Vincenzo (2006), La violenza politica. Un’analisi criminologica, Roma-Bari.
  • SCHMIT Carl (1994), Le categorie del politico: saggi di teoria politica, CDE, Milano.

Per citare questo post

Senaldi A. (2017), “Prison Break Project, “Costruire evasioni. Sguardi e sapere contro il diritto penale del nemico” (Edizioni BePress, 2017), pp. 277″, pubblicato nel blog di Studi sulla Questione Criminale Online, al link: